Simone Tuzza The Lab's Quarterly, 2020, XXII, 3 (giugno-settembre), p. 159
La «Revue Françcaise de Sociologie» definì la terza edizione di Sociologie de la prison del 2009: “Una panoramica del campo, chiara, sintetica, ma mai semplificata”. Oggi siamo alla quarta edizione francese e – finalmente – grazie a questo libro, alla prima edizione italiana. Riprendendo quanto detto dalla rivista citata, il testo si presenta come agevole e snello, ma denso di informazioni e soprattutto in grado di fornire uno spaccato della prigione nei paesi occidentali (non solo della Francia) da molteplici punti di vista. Difatti, presentando una disamina delle dottrine classiche della pena e addentrandosi poi nelle varie definizioni della struttura prigione, delle politiche penali, di chi la abita, del perché, come ci arriva e quali sono le caratteristiche dominanti del detenuto “tipo”; Combessie non si limita a descrivere la prigione e gli scopi della detenzione, ma porta avanti anche un discorso sul rapporto intrinseco tra la stessa e il mondo esterno. Il carcere viene dunque descritto come una società a sé stante, con una propria subcultura che è parte di coloro che la vivono, che siano obbligati a starvi o che siano invece le persone che ci lavorano, i “sorveglianti”. Non solo, la prigione come organizzazione è anche per l’autore pretesto per parlare della società esterna (capitolo IV e V), per descrivere i comportamenti propri della reazione sociale e di come ci sia un processo di adattamento della "società" della e dalla prigione. Anche perché nel saggio si ricorda più volte che mentre nella società esterna tutto ciò che non è espressamente vietato è dunque autorizzato, in carcere accade esattamente l’opposto: i comportamenti che non sono dichiaratamente concessi sono per definizione interdetti.
Nel presentare teorie, ricerche e studi sul carcere, Combessie si avvale del supporto dei grandi padri della sociologia a partire da Goffman (1961; tr. it. 1968) con gli adattamenti primari e secondari e da Backer (1963; tr. it. 1985) per spiegare come gli “imprenditori morali” siano alla base delle evoluzioni storiche e delle modificazioni proprie alle istituzioni penali; e dunque anche a come le prigioni sono state interpretate e gestite sin dalla loro nascita con il lavoro forzato alle nuove più recenti politiche riparative. A proposito delle politiche penali, un argomento che suscita interesse, e che Combessie tiene a sotto¬lineare, è il dualismo della durata della carcerazione sempre più presente soprattutto nelle democrazie occidentali europee; ovvero, la diminu¬zione della carcerazione di breve durata e il corrispettivo aumento delle lunghe detenzioni. Ciò, tra gli altri fattori che determinano il fenomeno, è conseguenza anche del ruolo delle vittime in tale processo. Infatti, mentre da un lato i movimenti femministi degli anni ’70 portavano al centro del dibattito le violenze sessuali e i reati verso i minori, contribuendo così ad influire sull’allungamento delle pene per questo genere di condotte; al contempo, le associazioni e la nascita dei centri di assistenza alle vittime, tra cui q doveroso ricordare l’Inavem (Istituto Nazionale di Assistenza alle Vittime e Mediazione) in Francia, sono stati essenziali nel promuovere il processo di mediazione reo/vittima – in un’ottica riparatrice – verso una progressiva diminuzione di carcerazioni per reati considerati meno gravi, dove il confronto tra i due attori risolve il conflitto meglio della detenzione.
Ogni capitolo del libro è inoltre arricchito, verso la fine dei paragrafi, di spiegazioni e spunti di riflessione, rimandi a studi e analisi che possano fungere da stimolo per il lettore che voglia approfondire la tematica. Seguendo la stessa logica, in tutto il testo, vi sono altresì dei riquadri di approfondimento ad argomenti specifici al fine di acuire la curiosità del lettore e intervallare il libro di momenti di alleggerimento del testo. Tra tutti, molto interessante, risulta il focus sulla radicaliz¬zazione politica delle persone in periodo di detenzione (...).