Intervista di Sara Del Corona ad Alessandro Amaducci (MarieClaire online)
Ciò che sentiamo e che ci resta delle sigle delle serie tv
Di Sara Del Corona
Pubblicato: 15/03/2024
https://www.marieclaire.it/attualita/news-appuntamenti/a60185859/sigle-delle-serie-tv/
Da quella "storiografica" di Manhunt, ora in uscita, alle apripista dei primi anni Duemila: come vengono fatte, cosa raccontano e perché a volte le sigle diventano più importanti delle storie per cui vengono inventate.
[...] E vale la pena addentrarsi ancora un po’ in questo territorio, che diventa sempre più vasto man mano che si moltiplicano le produzioni seriali e i loro linguaggi, facendo qualche domanda ad Alessandro Amaducci, esperto di videoarte, videoclip musicali e cinema digitale, docente del DAMS di Torino e autore del libro Sigle di serie tv (edito da Kaplan).
Chi fa le sigle delle serie?
Se ne occupano degli studi, gruppi ristretti di persone con varie competenze soprattutto di computer grafica, ma il creative director è poi di fatto l’autore, colui che viene citato quando se ne parla.
Chi sono secondo te tre autori particolarmente significativi, e perché?
Il primo autore in assoluto è Patrick Clair. Per la quantità significativa di sigle prodotte ma anche e soprattutto perché ha inventato soluzioni stilistiche-grafiche che sono state e sono tutt’ora dei punti di riferimento. La prima che ha realizzato per la prima stagione di True Detective (2014) è il suo più grande successo. I visi e i corpi dei due protagonisti (Woody Harrelson e Matthew McConaughey) diventano delle statue quasi immobili, fotografie in tre dimensioni, immerse nei paesaggi desolati della Louisiana, fra paludi e zone deindustrializzate. Gran parte del materiale visivo non proviene dalle scene effettivamente girate ma da fotografie di scena di location, attori e situazioni successivamente scartati. Un dettaglio che stabilisce una sorta di precedente: la sigla, pur essendone una sintesi, è contemporaneamente un oggetto sganciato dalla serie, gode di una sua autonomia creativa, perché può essere fruita come un breve video musicale: all’epoca (2014) l’emittente televisiva HBO la caricò sul suo canale Youtube ottenendo un numero molto grande di visualizzazioni, e da quel momento è diventata una sorta di nuovo genere audiovisivo da fruire online. Lo stile di Patrick Clair è inconfondibile anche perché mette in relazione due temi astratti e spesso simbolici che si incontrano o si scontrano visivamente. In True Detective i personaggi con il loro ambiente, in L’uomo nel grande castello (The Man in the High Castle, 2015) due linee temporali storiche in conflitto fra loro, in Westworld – Dove tutto è concesso (Westworld, 2016), il mondo artificiale con quello naturale, in The Night Manager (2016) il mercato del lusso con quello della vendita delle armi, in Inverso-The Peripheral (2022) il presente con il passato.
l secondo è Angus Wall, un “veterano” che ha frequentato il mondo del cinema: è il montatore della sigla di Seven (1999) di David Fincher, che è una sequenza di titoli di testa che ha fatto la storia del cinema. Per la sigla delle serie Carnivàle (2003), dove si narrano le vicende di un circo itinerante nell’America degli anni Trenta, Wall visualizza dei tarocchi realizzati in computer grafica alternati a filmati di repertorio d’epoca. I tarocchi sono dei collage digitali dove vengono tagliati e incollati numerosi frammenti di quadri di periodi completamente diversi, così come nella sigla di Rome (2005) dedicata agli ultimi anni della vita di Giulio Cesare, la sintesi tematica diventa l’animazione di scritte e disegni sui muri delle strade di Roma antica. Dichiarazioni d’amore, dediche sofferte a partenti morti in guerra, disegni e ritratti diventano la testimonianza di una surreale “street art” dell’epoca che denuncia quel livello della Storia, ovvero le sofferenze dei popoli che la subiscono, che raramente viene raccontato. La sigla più famosa di Angus Wall resta sicuramente quella realizzata per Il trono di spade (Games of Thrones, 2011), che diventa un libro pop-up digitale dove ogni singolo elemento si anima davanti agli occhi dello spettatore.
Il terzo è importante perché fa scelte quasi interamente astratte: Teddy Blanks, l’autore delle sigle della seconda (2015) e quarta stagione (2018) della serie Mozart in the Jungle. Sono diverse per ogni puntata, è il fenomeno della “serializzazione” della sigla stessa.